Sei in: Home Page > Dai nostri inviati a Giarabub > Recensioni > Recensione
Giarabub, Africa settentrionale, autunno 1940. Cinque inviati di guerra raggiungono l’oasi, tra un assedio e l’altro, e raccontano le imprese del comandante Salvatore Castagna e dei suoi uomini. Alcuni di questi giornalisti hanno già preso parte alla guerra d’Etiopia, alla guerra di Spagna e continueranno poi a seguire la Seconda guerra mondiale su altri fronti. Le loro strade s’incrociano a Giarabub...
Pubblicata: Il Messaggero
Data: 18/04/2006
Non era solo una canzonetta, come Faccetta nera,
musicata da Mario Ruccione nel 1935. «Moretta che sei
schiava fra le schiave», e Carlo Buti se la cantava:
«Faccetta Nera/ Bell'abbissina/ Aspetta e spera/ Che
già l'ora s'avvicina!».
Non era solo una canzonetta, La sagra di Giarabub,
firmata dallo stesso Ruccione, qualche anno dopo. Il
ritornello se lo ricordavano tutti: «Colonnello, non
voglio il pane,/ dammi il piombo pel mio moschetto!».
Alla disfatta del caposaldo italiano nel deserto di
Libia, oasi di Giarabub, 21 marzo 1941, fronte della
Cirenaica, sotto l'offensiva inglese, non servivano
storici. Bastava la “sagra”. «Colonnello, non voglio
l'acqua,/ dammi il fuoco distruggitore!/ Con il sangue
di questo cuore / La mia sete si spegnerà». Fino all'ultimo squillo: «Colonnello, non voglio encomi/ -sono morto per la mia terra -/ ma la fine
dell'Inghilterra/ incomincia da Giarabub!».
Si sa come finì con la “perfida Albione”. Ma la La sagra
di Giarabub rimase a lungo nel vaneggiamento africano di
molti italiani. L'anno dopo del disastro, nel 1942, il
regista Goffredo Alessandrini, specialista di film di
guerra e propaganda fascista (oltre che di “telefoni
bianchi”, marito di Anna Magnani), girò anche Giarabub,
con Alberto Sordi ai primi passi, e la colonna sonora di
Renzo Rossellini.
«La sagra di Giarabub diventerà, al di là di ogni
previsione, l'unica canzone veramente popolare di tutta
la seconda guerra mondiale», osserva Fabio Fattore,
giornalista del Messaggero e scrittore, che all'impresa
libica ha dedicato pazienti ricerche, ricavandone questo
libro, fra cronaca e storia: Dai nostri inviati a
Giarabub (Mursia editore, 367 pagine, 19,50 euro).
Allora pareva epico anche il mestiere dei giornalisti al
fronte. Non solo i Montanelli (il quale, nella campagna
d'Africa, negava che le nostre truppe usassero il gas),
ma anche grandi firme che si sono pian piano smorzate,
come la nenia di Giarabub. Cinque sono gli inviati
speciali dalle cui memorie Fabio Fattore ricostruisce
quell'avventura: Pier Maria Bianchin, Luigi Ferdinando
Chiarelli, Bruno D'Agostini, Stanis Ruinas, Antonio
Piccone Stella. Conobbero il colonnello della “sagra”
(anzi tenente colonnello, ma era troppo lungo per la
canzone): si chiamava Salvatore Castagna.
«Non fu un caso - spiega Fattore - se nella costruzione
del mito fascista più importante di tutta la seconda
guerra mondiale, cioè la resistenza dell'oasi di
Giarabub, ebbero tanta parte proprio i giornalisti». Il
suo libro, del resto, non parla solo dell'epopea del
colonnello. Altri fronti, altri pezzi buttati giù in
trincea, non esclusa la Guerra di Spagna, impegnarono i
“giornalisti con le stellette”. E Flaiano aveva già
vissuto in Africa il suo “tempo di uccidere”.
«Per difendere un pozzo salato, quattro palme e una
bandiera - scrive Fabio Fattore - l'Italia fascista ne
fece degli eroi prima che sparassero un solo colpo di
moschetto, l'Italia democratica li dimenticò con la
stessa fretta». Dal 1935 il duce aveva vaticinato «la
ruota del destino che muove inarrestabile verso la mèta»
(tutte raggiunte, naturalmente). Sognava l'Impero, dai
sette colli. Poi venne la sveglia.